Ul Purcell

 

(ul purcell bon l’è quell da duu aost) antico detto gerenzanese.

Una parte dei "paisan" di Gerenzano al tempo della seconda guerra mondiale allevava il maiale. Ho detto una parte perché non tutti erano in grado di sostenere i costi. Era per loro una fonte di sostentamento extra in quegli anni in cui la fame si faceva sentire. Il maiale di allora era diverso dal maiale di adesso perché diverse erano le esigenze: allora si privilegiava il maiale "grasso" che dava più grasso e meno carne, mentre ora si dà la preferenza al maiale "magro" che dà più carne e meno grasso. Lo preferivano "grasso" perché questo tipo di maiale ne produceva molto e una famiglia ricavava il condimento per tutto l’anno.

Il maiale era allevato in un recinto chiamato "stabiell" ed aveva una dieta standard. Da piccolo gli davano un pastone composto di patate bollite ben schiacciate miste a crusca e poi, man mano che cresceva, a questo pastone era aggiunta anche farina gialla. Successivamente gli levavano le patate, poi anche la crusca e gli veniva dato solo farina non densa e alla fine solo polenta. Le patate (i famosi "pumitt"), la crusca e la farina erano fatte cuocere con la "caldera" o con i "parieu".

Ai primi di dicembre o di gennaio dell’anno successivo (a secondo di quando era nato) il maiale era giunto al termine della sua vita. Si capiva dal fatto che non riusciva più a camminare tanto era grasso (peso: 2 quintali e mezzo circa) e non mangiava quasi più niente (solo un pò di polenta). Era ucciso con un colpo secco in fronte là dove iniziano le setole con un attrezzo chiamato "puntireu". Con una tecnica particolare lo si irrorava d’acqua, la cui temperatura ottimale doveva essere sui 60° e gli venivano levate subito le setole con dei coltelli. La temperatura dell’acqua doveva essere sui 60° perché se era troppo bassa non riusciva a ammorbidire le setole, mentre se era troppo alta le setole si cuocevano e non si staccavano più dalla cotenna.

Poi con delle carrucole veniva issato a una trave del portico e si finiva di levagli le setole rimaste. Gli si tagliava la testa e lo si divideva in due mezzane e da queste il "paisan" sezionava lardo, pancetta, grasso, costine, fegato, cotenne e "pescieu" per il suo uso, tutto il resto veniva macinato e impastato con l’aggiunta di carne di bue o di vacca (onde utilizzare al massimo il grasso del maiale) precedentemente acquistata e finiva in salami, salamini e mortadelle con l’aggiunta di spezie e di sale.

Il grasso che non era utilizzato per i salumi era appeso ad asciugare (ci voleva circa mezza giornata), poi si tagliava a pezzettini, si macinava, si faceva liquefare, si filtrava con un panno e si metteva nei recipienti nell’attesa dell’uso. Si divideva poi la carne in due mucchi: la prima scelta per i salami, la seconda scelta per i salamini: si aggiungevano kg 2,8 di sale, 140 g. di pepe (parte in mezzi grani e parte macinato) e un succo d’aglio per quintale di carne per fare i salami e 3 kg di sale, 130 g di pepe e dei pezzettini d’aglio sempre per quintale di carne, per fare i salamini. Fatto questo si metteva la pasta in una macchina insaccatrice alla cui estremità veniva infilata una "budella" (precedentemente lavata) e vi veniva spinta in modo che non si formassero bolle d’aria. In fine salame, salamini e mortadelle erano legati ed appesi in un luogo scuro e stagionare.

Dal maiale il "paisan" utilizzava tutto e dal maiale ricavava la materia prima che, unita alle verze, creava ad una grande specialità lombarda " la cazeura". 

Mario Carnelli